L’età in cui viviamo è l’era dell’informazione, non solo quella veicolata dai media analogici (TV, giornali ecc), ma soprattutto quella che esiste nel web. Internet ha praticamente reso accessibile a tutti in modo trasversale tutta l’informazione a livello globale. Potremmo facilmente prevedere che nel giro di pochi anni (se già non è così), che tutto lo scibile umano, potrebbe essere disponibile online. Disponibile sul web significa sempre disponibile, a portata di clic. Questo dovrebbe essere uno dei momenti storici dei più positivi e intellettualmente stimolanti, perché finalmente in tante parti del globo, la tecnologia, unita alle libertà sociali e all’educazione di massa, dovrebbe portare tutti a poter raggiungere il maggior grado possibile di conoscenze. Eppure ad oggi spesso ci scontriamo con un fenomeno chiamato “analfabetismo funzionale”, ci scontriamo con un complottismo da fantascienza e con un revisionismo storico talmente radicale che, nell’era dell’informazione sembra inverosimile.
Le teorie sociologiche, da Bauman a Habernas, ci rivelano che la società attuale, globalizzata e consumista è una vorace consumatrice di informazioni di qualunque tipo, perché tutte si possono trovare facilmente in rete. Questa ‘fame’ di informazioni e saperi, unita alla quantità di informazioni reperibili, e alla frenesia della vita contemporanea, porta inevitabilmente a fruirle in modo rapido, superficiale e spesso distaccato.’ E’ infatti ampiamente condiviso che la grande questione di internet, della rete, del world wide web e più in generale dell’informazione “dove, come e quanto vuoi”, che è il cuore della società postmoderna e iperconnessa e che con i suoi enormi privilegi, porta però ad un surplus di informazioni difficilmente metabolizzabili nel lungo termine.
Questa sovrabbondanza di informazioni impedisce che le stesse siano elaborate e processate dalla persona nella maniera corretta. Il soggetto “consuma” quindi un post o un articolo come consumerebbe il cibo di un fast-food. Ma non tutte le informazioni possono essere “consumate” velocemente, perché molte richiedono approfondimenti, contesti, conoscenze pregresse ecc. Purtroppo però spesso accade che per essere uniformate agli standard, qualunque informazione venga scollegata dal suo contesto e “usata” in quel momento specifico in cui è utile e poi tralasciata, dimenticata: tanto sarà lì, a portata di clic ogni volta che ce ne sarà bisogno. “Il surfing ha preso il posto dello scandaglio” ci ricorda Zygmunt Bauman, nel senso che siamo di fronte ad un consumismo degli oggetti, ma che ce n’è uno ancora più avido che è quello delle informazioni.
Secondo Jameson il postmoderno è caratterizzato da “mancanza di profondità”, c’è una predilezione per la piattezza. Da un certo punto di vista questo consumismo di informazioni è più pericoloso di quello degli oggetti, perché coinvolge il sapere e la conoscenza e di conseguenza la consapevolezza dei nostri limiti conoscitivi. La profondità risulta complicata, ma la complessità non è attraente. Le informazioni vengono mostrate con frivolezza per renderle più appetibili, più facilmente utilizzabili dall'utente; questo però rischia di avere ripercussioni molto serie, soprattutto nella forma di un' "allegria allucinatoria" che sì consola, ma che è completamente distaccata dalla realtà.
Sempre Jameson mette in luce che il postmoderno “cancella la storia”, o meglio cancella le categorie di temporalità, durata e memoria, togliendo così dall’attenzione del soggetto il passato storico e il futuro, sia nella sua forma utopica che in quella catastrofica. I media digitali hanno dato l’illusione della democrazia dell’informazione e questo è vero, perché tutti ne hanno accesso e tutti possono esprimere la propria opinione, ma chi deve giudicare la veridicità o il valore di questa opinione?
Come dice il comico inglese Ricky Gervais: “We always had the idea that my opinion is worth as much as yours, but now we got: ‘my opinion is worth much as your facts’ ” (“da sempre pensiamo che la mia opinione abbia lo stesso valore della tua, ma oggi siamo passati a: ‘la mia opinione vale quanto i tuoi fatti’). Da quando le opinioni hanno lo stesso valore dei fatti? Da quando una opinione ha più valore della scienza, o delle prove fattuali?
Questo è il nocciolo della questione, ma come impedire che un’opinione disinformata e non supportata da fatti si presenti come plausibile dato? Dove sta il confine fra censura e verità?
(in questo senso si intende “verità dei fatti e degli eventi” e non verità assoluta in senso filosofico su cui discutiamo da 2500 anni).
In questo senso lo stesso Consiglio d’Europa ha inserito nel suo manifesto sull’educazione una parte relativa all’educazione ai media:
rafforzare il pensiero critico e l'alfabetizzazione mediatica, in particolare nell'uso di internet e dei media sociali, al fine di sviluppare resistenza verso narrazioni divisive, polarizzazione e indottrinamento.
È molto importante questa presa di posizione da parte della Commissione Europea, perché evidenzia l’importanza di un’educazione ai media, proprio per il loro potere di polarizzare e indottrinare. I media digitali hanno aperto la comunicazione a tutti, hanno reso l’informazione accessibile e hanno dato la possibilità a tutti di esprimere la loro opinione, e questo è indubbiamente un merito. Quello però che si rischia è che non ci sia più filtro sulle informazioni fasulle (le fake news), che si dipanino nel web mode pericolose, ideologie terroristiche o razziste. Una così grande risorsa di informazioni, se non si hanno i mezzi e gli strumenti critici e analitici per utilizzarla può essere molto pericolosa. Anche perché la così detta “democraticità” internet, è un falso mito, infatti non solo sono pochissime le persone nel mondo hanno un costante accesso a internet, ma è ancora più ristretto il numero di coloro che le possono controllarlo senza che un organo sovranazionale o super partes possa vigilare.
L’argomento è estremamente complesso e in costante evoluzione proprio perché il controllo e la vigilanza possono trasformarsi in censura e le discussioni e gli accordi internazionali sono tutt’ora in essere, ma è importante parlare dei rischi nell’uso del web, non solo a livello di politica o di studio teorico, ma portare la discussione al grande pubblico per poter trovare soluzioni reali ad un problema reale.
Navighiamo in acque sconosciute che possono anche sembrarci infide. Bisogna disegnare nuove rotte perché la realtà amplia i suoi confini e, nello stesso tempo, si localizza; bisogna parlare linguaggi familiari a chi è cresciuto nella società dell’immagine e del web; bisogna confrontarsi con nuovi punti di vista perché la storia corre sempre più veloce. Bisogna, infine, reggere le raffiche di riforma che al mutare dei governi spingono la scuola in direzioni alterne. (Aurora Delmonaco - ricercatrice di storia e specialista in didattica della storia).
Già negli negli anni ’80 del secolo scorso Habernas parla dell’uso delle informazioni in modo pubblico e politicizzato come metodo per costruire consenso popolare e accattivarsi l’opinione pubblica .
Il valore dello studio e della conoscenza della storia è indiscutibile, ma i rischi che una conoscenza superficiale porti a malintesi e a utilizzi impropri e a travisare fatti è alto. In passato un uso improprio della storia ha portato a guerre e stermini, alcuni anche molto recenti, e se prima si poteva dare la colpa all’analfabetismo e alla mancanza di informazioni, ormai queste ‘scuse’ assumono solo una parte molto relativa.
Una risposta sintetica e concisa ad un problema complesso, svincolata da ogni contesto, resta necessariamente superficiale se non viene incrementata da indagini ulteriori e ricerche adeguate. In tal senso i rischi di fraintendimento e banalizzazione sono altamente probabili se non si distingue tra informazioni e conoscenze di diverso tipo. Già nel 1700 Kant sottolineava i rischi che si correvano nell’utilizzo politico della storia (inteso come informazione storia rivisitata e revisionata in un senso o nell’altro). L’importanza dello studio, ma soprattutto della comprensione e della conoscenza è fondamentale per evitare di incorrere in revisionismi estremi e teorie complottiste.