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La democrazia del digitale

2021-01-24 18:20

Chiara Tonnoni

La democrazia del digitale

Il digitale ha aperto un nuova era, allargano a molti l'accesso a settori prima appannaggio di pochi. Ma è davvero così democratico come appare?

Quando alla fine del secolo scorso si iniziava ad intravedere concretamente le potenzialità del digitale e soprattutto le potenzialità del digitale in relazione alla nascita e alla diffusione di internet nella forma del World Wide Web (“www”), sembrò evidente l’inizio di una nuova era. La realtà socio-culturale in cui viviamo oggi è radicalmente diversa da quella della generazione precedente. Le tecnologie degli ultimi trent’anni hanno reso irriconoscibile il nostro stile di vita rispetto a quello precedente e l'hanno reso più equo e democratico...oppure no?

 

Iniziamo da alcune certezze: la rivoluzione digitale ha influenzato tutti gli aspetti della nostra vita, perché ha avuto un impatto profondo sul modo di comunicare. Cambiando i mezzi di comunicazione, si trasforma il modo di interagire, e mutano quindi i rapporti interpersonali, il linguaggio e l’esposizione/ricezione alle informazioni. In particolare, la digitalizzazione dei contenuti (immagini, documenti, libri, musica ecc) porta ad un abbassamento del livello di competenza di colui che le usa e/o crea e anche di colui che ne può avere accesso, come spiegherò successivamente partendo dalle teorie di Lev Manovich.

Un qualunque tipo di contenuto può viaggiare su qualunque piattaforma o supporto e può essere fruito in modi completamente diversi da quelli per cui è stato creato. Il passaggio e l’uso di ogni tipo di prodotto o contenuto diventa semplice e rapido, perché tutti si basano sullo stesso linguaggio. 

 

Parafrasando uno dei maggiori teorici di nuovi media, Lev Manovich, sono quattro le caratteristiche dei nuovi media che li rendono così diversi da quelli precedenti, così facili da usare e adattabili: rappresentazione numerica, modularità, automazione, variabilità e transcodifica. In quanto digitali o digitalizzati, tutti i nuovi media sono composti da un codice matematico e sono quindi rappresentazioni numeriche: sono tutti composti da 0 e 1, come ogni linguaggio digitale. Questa caratteristica del linguaggio digitale porta i contenuti ad essere composti da moduli, piccoli pezzi scomponibili.  La modularità rende i prodotti digitali spezzettabili, smontabili e replicabili anche solo in parte e questo senza danneggiare o modificare in alcun modo il “file” di partenza o le altre parti che lo compongono. Il principio dell’automazione è quello che permette effettivamente di avere una tecnologia semplice e a basso costo, che può quindi essere usata da tutti, senza bisogno di approfondite competenze o abilità. Quindi, la preparazione e le conoscenze richieste sono minori e di conseguenza le abilità da possedere e da approfondire per poterle usare sono poche. Il quarto principio è la variabilità, che è una conseguenza dei precedenti, ma è anche ciò che rende un prodotto digitale così “utile” e adattabile nel nostro quotidiano. Un contenuto digitale può essere facilmente  adattato a tutto, può diventare quello che serve in una data situazione con pochi e semplici passaggi e con strumenti alla portata “di tutti”. Con il digitale, potenzialmente chiunque può fare quello che prima era riservato agli addetti ai lavori. Nel mondo analogico per scrivere un libro, per girare un documentario, per scattare e poi sviluppare una fotografia, o per fare musica, servivano competenze specifiche, spesso raggiungibili solo con sforzi enormi e a costi notevoli. Servivano strumenti/macchinari specifici, non sempre facili da reperire e competenze tecniche di un certo livello. Ovviamente servivano anche i soldi, tanti soldi. Oggi basta una buona idea e uno smartphone/cellulare e si può fare tutto, se poi si ha anche un mediocre accesso ad internet, tutti possono (potenzialmente) fruire il prodotto creato.

 

La transcodifica culturale dei contenuti (ovvero il passaggio da analogico a digitale) non è la sola a dare un accesso “democratico” al nuovo mondo digitale e connesso. Guardando invece all’altra parte della rivoluzione digitale, abbiamo internet e la rete il World Wide Web (potremmo tradurlo con la ragnatela globale), che, da un punto di vista tecnico, ha dato possibilità inimmaginabili. La rete ci dà accesso a qualunque contenuto in qualunque parte del mondo (almeno potenzialmente), ci dà la possibilità di dialogare con chiunque, in qualsiasi parte del globo in tempo reale. L’accesso a materiali e contenuti è praticamente infinito, le fonti per raccogliere informazioni (giornali, video, televisioni ecc) o l'avere aggiornamenti in tempo reale da tutti il mondo, sono alla portata di chiunque abbia uno smartphone anche di bassa qualità. E non c’è neanche bisogno di citare le potenzialità dei social network.

Tutto questo è assolutamente incredibile e soprattutto ha convinto quasi chiunque che non ci potessero essere più segreti: tutto sarebbe stato allo scoperto perché accessibile. Non si può più nascondere un fatto, perché chiunque può filmare con un cellulare e postarlo sui social. Basta avere una connessione ad internet e si può avere accesso a qualunque informazione, si può essere in contatto con tutti, quindi le lobbies, le elites, i governi, i regimi, non possono più manipolare l’informazione, perché non possono fermarla.

 

E' questa la vera democrazia? la democrazia nella sua forma più pura, tutti possono sapere tutto e al contempo dire tutto, cosa c’è di più democratico?

 

Le conclusioni di questo ragionamento dovrebbero quindi essere: grazie alla rivoluzione digitale e ad internet, siamo entrati in un’era di pura e semplice democrazia dove tutti hanno accesso a tutto e possono creare/interagire con qualunque tipo di contenuto.

E’ davvero così? Molti risponderanno con un secchissimo “no”, “è tutto un complotto”, “ci stanno manipolando!” ecc.  Altri diranno “sì”, dato che tutti possono esprimere le proprie opinioni e non siamo più schiavi delle “élite”.

 

Dove sta la verità? Di solito sta un po’ in mezzo, cerchiamo di capire:

E’ inconfutabile che la rivoluzione digitale e con lei internet e il world wide web abbiano abbattuto barriere e dato accesso a informazioni e contenuti prima appannaggio solo di pochi. E’ anche difficile contraddire Lev Manovich quando dimostra che i contenuti digitali sono più facili da usare e per questo tutti possono maneggiarli, modificarli e crearne di nuovi.

 

Questo è sufficiente per decretare la democraticità di internet e dell’era digitale? No, non lo è.


Prima cosa perché la democrazia è un contratto che il demos fa per cercare di vivere al meglio come gruppo. I contratti però, di solito, presuppongono regole e strutture per tutelare i diritti di coloro che fanno parte di questo demos. La tutela però implica un certo grado di controllo e il controllo in qualche modo limita e limitare è sbagliato. Lo è? Ai lettori l’ardua sentenza.


Un altro motivo piuttosto evidente per cui internet non è così “democratico” è che non tutti ne hanno accesso. Infatti, non solo ci sono aree della terra che non hanno accesso ad internet (anche nei paesi occidentali), ma soprattutto, non tutti possono permetterselo e altrettanto vale per i dispositivi digitali di accesso, per la velocità della rete ecc.

Dato che non tutti hanno lo stesso accesso ad internet e ai prodotti digitali, forse “democratico”, non è proprio l’aggettivo più indicato.

Una cosa però deve essere detta: internet è sempre più democratico dei mass media (giornali, radio e tv) che sono controllati da pochi e/o da governi che li possono utilizzare per scopi propagandistici. In teoria, però, i governi di Paesi democratici sono effettivamente eletti “democraticamente” dai cittadini  e dovrebbero esistere enti terzi che controllano la veridicità delle notizie. D'altra parte, come ci hanno dimostrato alcuni scandali recenti (e.g. Wikileaks), molti governi, anche occidentali, sono corrotti e nascondono informazioni, notizie ecc. Da sempre “i media” tentano di manipolare l’opinione pubblica, ma un medium alla fine è solo un mezzo, e il mezzo (non me ne voglia il grande Marshall McLuhan) è usato da persone. Non sono quindi mai i “media” che agiscono, ma le persone che li posseggono, che creano i contenuti e coloro che li fruiscono.

 

Potremmo quindi essere portati a pensare che internet sia effettivamente più democratico… però: se tutti possono manipolare con facilità i contenuti, chiunque può mettere in circolazione “prove” fabbricate ad hoc, falsità provate da foto, articoli di giornali o anche video. Alcuni falsi sono così ben fatti che spesso, prima di essere smascherati, hanno già fatto il giro del mondo. Inoltre, anche in un ambiente aperto come la rete, c’è chi opera con più potere, perché ha migliore accesso e ricordiamoci che in questo i governi, ad esempio, hanno accesso ai server, alle linee e ai satelliti su cui le informazioni girano, oltre che a strumenti migliori e a tecnici più abili.

Ma il problema non sono solo i governi (non lo erano neppure nell’era dell’analogico): l’assalto al Campidoglio di Washington DC del 6 gennaio 2021 ci ha dimostrato il contrario. In poche ore l'ormai ex Presidente D. Trump è infatti stato bannato dalle grandi piattaforme online (Facebook, Instagram ecc). Questo fatto ha scatenato reazioni opposte fra coloro che sono stati entusiasti della scelta e anzi l’avrebbero fatto prima e coloro che hanno gridato alla censura. Bisogna però fare una precisazione: se un mezzo di informazioni pubblico ignorasse o scegliesse di non mostrare una persona o un fatto, potremmo indignarci essendo un servizio pubblico. Se però si parla di una piattaforma privata, che non ha MAI preteso di fare un servizio pubblico di informazione, perché indignarsi e gridare alla censura? Quando una persona si iscrive ad una piattaforma privata deve leggere il regolamento, i principi e valori da rispettare e se questi non vengono rispettati l’iscritto, il cliente può essere bannato. Chi decide le regole di queste piattaforme? I loro Consigli di Amministrazione in accordo con le regole dello Stato dove ha la sede legale. Ricordiamo però che network internazionali viaggiano in Paesi con norme molto diverse fra loro e che spesso quindi ci sono differenze fra le informazioni che possono circolare in un Paese o in un altro.  Chi valuta se le regole sono state infrante? Impiegati della compagnia privata che possono eliminare chiunque ritengano opportuno.

 

Questo è giusto? Sì. E’ democratico? Si e no.


Un’azienda privata, non una democrazia, ha un proprietario che ha potere decisionale sulle persone che sono nella sua proprietà, che sia un social network o uno spazio fisico. Inoltre, prima di un’iscrizione ad una piattaforma online, colui che si iscrive è tenuto a leggere e ad approvare le regole che il proprietario dello spazio virtuale ha deciso. Se queste regole vengono infrante, si può essere cacciati da una piattaforma, come da un ristorante. L’errore, a mio avviso, sta nel considerare compagnie private, con scopi commerciali, come enti imparziali/pubblici di informazione. Questo è il grande cortocircuito del nostro tempo e anche la grande illusione di democraticità. Che poi un singolo scelga di fidarsi più di un social network che dell’informazione pubblica del proprio Paese, che ritiene corrotta e censurata, quella è una scelta. Ma deve essere una scelta consapevole.

 

Certo fa molto pensare il fatto che un gruppo ristretto di persone, ovvero i Consigli di Amministrazione dei principali social network, abbiano bloccato il Presidente (ormai ex) della più famosa nazione al mondo. Questo potrebbe avere delle ripercussioni nel futuro: cosa succederebbe se domani il CEO di Google togliesse Cristoforo Colombo o Hitler dalle possibili ricerche della piattaforma? Quanto possiamo pretendere piena disponibilità ed accessibilità da network privati che offrono servizi gratuiti?

 

Ci sono molte altre questioni che dovrebbero essere valutate, ma ne andrò a sottolineare una soltanto: che democrazia c’è su una piattaforma dove la popolarità di un video, di una notizia ecc. varia in base a quanto viene pagata la sponsorizzazione o la pubblicità? Quanto è democratico un sistema in cui se hai dei soldi puoi comprare server e piattaforme per creare account fasulli e aumentare i tuoi followers e/o le tue visualizzazioni o ricerche? 

 

La democraticità di internet sostenuta perché è un luogo in cui “tutti” possono dire la propria opinione è una chimera. Prima cosa perché il “tutti” è un gruppo estremamente ridotto; in secondo luogo perché internet, non esclude le vecchie dinamiche di controllo economico o governativo a cui erano sottoposti i mass media analogici. Inoltre, le possibilità di manomissione della realtà non è diminuito con il digitale, ma anzi: rendendone più democratico l'accesso e l’utilizzo le ha aumentate esponenzialmente. Eppure il problema non è di facile soluzione e forse non esiste neanche “la soluzione”, la sola cosa che possiamo fare tutti è aumentare la consapevolezza e a conoscenza nostra e degli altri dei mezzi che usiamo.