Negli incontri precedenti abbiamo riflettuto sulle tematiche legate alla transizione dal lavoro in presenza al lavoro agile o telelavoro delineando sia gli aspetti individuali legati alla gestione della mole di lavoro che le strategie per la conduzione di un team remoto. In questo quarto incontro abbiamo spostato l’attenzione sullo smart working come accomodamento ragionevole e sulla figura del disability manager quale facilitatore e promotore di processi di inclusione sociale e lavorativa.
Per poter comprendere meglio la natura degli accomodamenti ragionevoli è opportuno richiamare la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, che adotta una concezione dinamica di disabilità definendola come lo status risultato da un’interazione tra una condizione di salute e l’ambiente circostante. In questo senso, l’accomodamento ragionevole, quale strumento adattivo e capace di rimuovere le barriere, trova la sua naturale collocazione nel sistema di tutele per tutte le persone che permanentemente o temporaneamente si trovano nella situazione definita sopra. Così l’accomodamento ragionevole non solo deve agevolare la persona con disabilità, ma deve essere calibrato sulla possibilità reale che la stessa sia in condizione di superare le barriere esistenti, mirando quindi alla rimozione dello svantaggio. L’accomodamento ragionevole riguarda ogni segmento in ambito lavorativo applicandosi all’accesso al lavoro, alla possibilità di promozione, alla sistemazione appropriata del luogo di lavoro, ai ritmi lavorativi nonché alla gestione dei compiti, definizione degli obiettivi e l'accessibilità in senso lato. Debbono tuttavia tenersi in considerazione i costi e gli oneri finanziari per il datore di lavoro (pubblico o privato) nel provvedere alla predisposizione di accomodamenti ragionevoli, essendo questo l’unico limite previsto dalla Convenzione ONU.
Di conseguenza lo smart working può certamente collocarsi nella gamma di accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro ha a disposizione per consentire alle persone con disabilità di svolgere la propria attività lavorativa al meglio. Così lo smart working assurge il suo ruolo di strumento adattivo e inclusivo qualora comporti un’innovazione organizzativa e se in grado di tutelare pienamente la salute e la sicurezza dei lavoratori, definendo anche obiettivi, carichi di lavoro e funzioni aziendali in modo partecipato e nell’ottica della massima valorizzazione delle risorse umane interne. Una volta superata l’emergenza Covid-19, lo smart working continuerà a rappresentare un accomodamento ragionevole per persone con disabilità o patologie di lunga durata, consentendo una maggiore flessibilità e ovviando alle problematiche personali che possono rendere difficoltoso il lavoro in presenza. Tuttavia lo smart working non può essere la soluzione finale all’inclusione lavorativa del lavoratore con disabilità, presentando rischi quali l’esclusione dalle dinamiche di gruppo e dai processi decisionali, una minore interazione con il team, riducendo anche la familiarità con spazi diversi.
Senza dubbio lo smart working per collocarsi nel novero degli accomodamenti ragionevoli deve essere uno strumento facoltativo per il lavoratore, presumendo un necessario accordo tra quest’ultimo e il datore di lavoro. L’implementazione dello smart working come accomodamento ragionevole dovrà poi essere monitorata in modo costante dal disability manager. Nonostante la divergenza di opinioni e di definizioni, il disability manager può essere considerato come un professionista qualificato, a seguito di percorsi di formazione specialistici post laurea, che interviene in tutte le fasi del processo di inserimento, inclusione e integrazione socio-lavorativa delle persone con disabilità all'interno degli enti e delle imprese pubbliche e private. Il suo ruolo sarà quindi quello di garantire, anche in cooperazione con reti territoriali e servizi specializzati, l’applicazione di corretti processi di inserimento in azienza, mantenimento del posto di lavoro e ritorno al lavoro delle persone con problemi di salute, con disabilità ed in condizioni generali di fragilità. Mentre nel settore privato il “Jobs Act” ha promosso l’istituzione del disability manager come figura lavorativa preposta all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, ma non ha reso obbligatoria la sua presenza nelle aziende, nella Pubblica Amministrazione il decreto legislativo 75/2017 ha reso obbligatoria la nomina di un responsabile dei processi di inserimento e integrazione lavorativa in tutte le amministrazioni con più di 200 dipendenti.
Così i disability manager, a cui si può far riferimento consultando l’albo previsto dalla Federazione Disability Management (FedMan), possono diventare i facilitatori di una piena integrazione lavorativa per le persone con disabilità intervenendo a fianco di essi per l’identificazione di obiettivi lavorativi da definire con il datore di lavoro. In questo modo sarà possibile sia creare una maggiore consapevolezza circa i bisogni e le esigenze dei lavoratori con disabilità o con patologie di lunga durata, promuovendo una auspicata maggiore flessibilità del mondo del lavoro e una trasformazione in senso agile di cui beneficeranno tutti i lavoratori.