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Atti del primo incontro Smart working e accomodamenti ragionevoli: le nuove frontiere dell'evoluzione sociale?

2020-09-03 18:31

Anida Hilviu

Atti del primo incontro Smart working e accomodamenti ragionevoli: le nuove frontiere dell'evoluzione sociale?

In questo periodo di emergenza coronavirus in molti hanno sperimentato lo smart working, che non avendo ancora strategie consolidate, tende a creare d

Di Anida Hilviu

 

In questo periodo di emergenza coronavirus in molti hanno sperimentato lo smart working, che non avendo ancora strategie consolidate, tende a creare divisione di pensiero, smarrimento e incertezza. Naturalmente ci sono state realtà più virtuose e più pronte ad affrontare il passaggio dall’ufficio allo smart working e quindi a mettere nelle condizioni le persone, anche con disabilità, di poter accedere e quindi svolgere le loro mansioni in questa modalità. Pensiamo alla Pubblica amministrazione o alle aziende tecnologiche, che sono chiaramente più facilitate al cambiamento. Lo smart working si serve ovviamente della tecnologia per essere applicato; ma c’è anche un altro termine che deve essere affiancato, ovvero l’accessibilità.  Senza strumenti – una parola a noi molto cara – accessibili una persona con disabilità avrebbe più difficoltà a svolgere le mansioni in smartworking. In queste circostanze il supporto del disability manager è indispensabile: un facilitatore di supporti adeguati per affiancare non solo la persona con disabilità ma anche l’azienda nell’adattamento di contesto. Deve occuparsi di strutturare i bisogni e le esigenze delle persone che deve includere e condizionare con essi l’utilizzo delle piattaforme e delle modalità di lavoro alternative a quello fisico. 

 

Lo smart working non è solo un passaggio digitale ma diventa un processo tra i managers e i dipendenti. Richiede un cambiamento culturale a livello manageriale di gestione delle risorse umane e una efficiente comunicazione tra i dipendenti così come tra essi e i dirigenti.  Per rendere possibile questo occorre puntare su una formazione che abbia come punto di riferimento la persona, focalizzata sull'utilizzo dei vari strumenti che si possono avere a disposizione e sulla modalità dei diversi momenti lavorativi e della giornata, dove, inevitabilmente, vita professionale, e vita privata coincidono. Al momento in Italia abbiamo avuto occasione di telelavoro e non di smart working. Il tipo di lavoro che si è svolto nell'emergenza non è agile, perché non è flessibile e dinamico. Lo smart working è un modo di lavoro in cui gli obiettivi superano la mole di lavoro. Quello che è fondamentale è la definizione di obiettivi condivisi all'interno del team piuttosto che le ore che si impiegano in una mansione. Questo non implica una totale disponibilità del lavoratore, ma un suo maggiore coinvolgimento attivo nella gestione aziendale. Il lavoratore non è solo forza produttiva ma diventa capacità/risorsa interna. 

 

Lo smart working offre indubbiamente opportunità di crescita sia sul piano personale che professionale ponendo il lavoratore e la concertazione degli obiettivi al centro della scena. Tuttavia come ogni processo trasformativo, anche il passaggio allo smart working deve essere gestito in modo strategico per arginare rischi quali l’isolamento, la connessione perenne e il tecnostress, la traslazione dei costi dal datore di lavoro al lavoratore, il timore di non avere abbastanza opportunità di crescita lavorativa e soprattutto lo straining, ossia lo stress forzato sul posto di lavoro, che, da remoto, porta all’assegnazione di compiti svilenti o all’esclusione di un lavoratore dal team. 

 

Il dato meno incoraggiante che emerge da un nostro sondaggio è certamente quello riferito alla formazione allo smart working, con solo il 7,7% degli intervistati che ha risposto positivamente alla domanda “Hai mai fatto formazione allo smart working?”.  Dividendo il dato per sesso, si vede come le percentuali siano simili tra uomini e donne (7,4% contro 8,2%) facendo emergere come la mancanza di formazione sia trasversale ai sessi e non alimenti il “gender gap”. I dati sulla formazione allo smart working dimostrano come in generale il mondo del lavoro era impreparato per il necessario cambiamento lavorativo richiesto dall’emergenza COVID-19, ma conferma come le categorie che hanno avuto un maggiore accesso al lavoro agile prima del COVID-19 sono anche quelle che hanno avuto maggiori opportunità di formazione e di preparazione per la transizione allo smart working. Infine, è da considerarsi il fatto che tra gli intervistati, che hanno avuto opportunità di formazione allo smart working, la maggioranza lo ha effettuato al di fuori del contesto aziendale e a proprie spese, tramite master, workshop dedicati e altri corsi sia online che in presenza. Lo smart working non è la novità del 2020, lo si applicava già prima, difatti con la Legge 81 del 22 maggio 2017 è stato possibile normare una modalità lavorativa che precedentemente non era disciplinata.