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Autismo: conoscere per comprendere

2022-04-10 20:07

Arianna Vellone

Autismo , ASD , Neurodiversità ,

Autismo: conoscere per comprendere

Il 2 Aprile ricorre la celebrazione della giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo. Giorno fondamentale per riportare all’attenzione...

Il 2 Aprile ricorre la celebrazione della giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo. Giorno fondamentale per riportare all’attenzione un tema ancora molto stigmatizzato e, a mio parere, conosciuto solo superficialmente. Dico questo perché io stessa, prima di imbarcarmi e approdare nel “mondo scuola” avevo una nozione di autismo, che poi solo col tempo e con un po’ di esperienza diretta, sono riuscita a scardinare, analizzare, approfondire. Eccomi qua quindi, a scrivere alcune mie riflessioni sul tema, sperando di stimolare il lettore ad avvicinarsi e interessarsi all’argomento, a liberarsi di eventuali preconcetti e a non fermarsi mai alla superficie.

 

Probabilmente nell’infanzia di ognuno di noi sarà capitato di avere quel compagno di classe che definivamo superficialmente “un po’ sopra le righe”. Lo vedevamo magari spesso in disparte, era un tipo più introverso, aveva degli atteggiamenti atipici e ci sembrava “con la testa tra le nuvole”… Quanti di noi crescendo avranno pensato (o detto) “..sarà autistico!”, con una connotazione tendenzialmente dispregiativa? Infatti, in passato, molti aspetti e atteggiamenti particolari venivano sottovalutati e sminuiti, si ricorreva a termini come “disturbo” o “sindrome” per indicare determinati problemi che manifestavano alcuni studenti. Oggi, soprattutto grazie ai progressi nell’ambito medico-scientifico, possiamo utilizzare terminologie diverse, non più discriminanti, ma che si pongono anzi l’obiettivo di valorizzare le particolarità che caratterizzano ciascun individuo. Rispetto al passato quindi si cerca di prestare una maggiore attenzione alle esigenze dei singoli studenti che manifestano necessità specifiche, trattandole con le dovute attenzioni e pratiche, anche se non sempre riuscendoci al cento per cento. 

 

L’istituzione scolastica in questo contesto svolge un ruolo molto delicato: prima di tutto nel notare i primi segnali di autismo e aiutare le famiglie nell’inquadramento di un funzionamento neurodiverso del proprio figlio/a. Successivamente nel creare un ambiente che sia in grado di valorizzare la specificità di ognuno e costruire un percorso mirato di studi e di inclusione, cucito ad hoc sull’alunno/a. Come si può ottenere tutto questo? Innanzitutto la comprensione di un tema tanto delicato e la messa in atto di strategie mirate necessita di professionisti sul campo, con alle spalle uno studio, una formazione e una certa consapevolezza. Inoltre, compito della scuola sarà quello di coordinarsi con gli esperti in campo medico (psichiatra, psicologo, neuropsichiatra, logopedista ecc), affidati al caso del determinato studente. 

 

 

Ma cosa si intende quando si parla di autismo? 

 

Il Ministero della Salute (riprendendo la definizione contenuta nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali adottato dall’OMS) definisce autismo “I disturbi dello spettro autistico (dall’inglese Autism Spectrum Disorders, ASD), un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti e pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti, ripetitivi”. 

 

 

Semplificando, l’autismo (parola che deriva dal greco autòs, “sé stesso”, e isme, “pensiero” - “pensiero in sé stesso”) è quindi un insieme di alterazioni dello sviluppo cerebrale. Dato che molti quadri sintomatici vengono designati con tale termine è preferibile usare la definizione di disturbi dello spettro autistico” o di “disturbi generalizzati dello sviluppo”. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri. È evidenziato come questo provochi principalmente ristrettezza di interessi e comportamenti ripetitivi. Principalmente si nota la perdita del contatto con la realtà: i bambini con disturbi dello spettro autistico stanno appunto “ripiegati su se stessi”, costruiscono una vita interiore propria, che viene anteposta alla realtà stessa. Per questo motivo hanno difficoltà nello stare a contatto con gli altri e nelle relazioni psico-affettive; sviluppano inoltre un inappropriato attaccamento ad oggetti e mostrano una decisa resistenza ai cambiamenti. Il comportamento che poi manifestano dipende proprio dal loro modo di interiorizzare le conoscenze e interpretare il mondo esperienziale.

 

Nel 1943 Leo Kanner, pediatra tedesco, prese in esame un gruppetto di bambini il cui comportamento era molto lontano dalla normalità, ma con caratteristiche che si ripetevano all’interno del gruppo; a tal proposito in un articolo descrisse che aveva notato una “incapacità, presente sin dall’inizio della loro vita, di mettersi in contatto con gli altri e con le situazioni secondo il modo consueto, e in un desiderio ansioso e ossessivo di mantenere inalterato il proprio ambiente e le proprie abitudini di vita.”. Modo consueto, viene scritto. Quando un soggetto con disturbo dello spettro autistico o, più generalmente, una persona atipica interagisce con l’ambiente e con la società che lo circonda rischia di esserne esclusa, in quanto le sue caratteristiche non corrispondono a quelle sulle quali la realtà è stata modellata. Infatti nel tempo la società si è strutturata per accordarsi alle caratteristiche della maggioranza, una maggioranza di persone definite e che si definiscono “normali”. È qui che si inserisce il discorso sulla neurodiversità.

 

La neurodiversità (termine utilizzato nel 1998 dalla sociologa australiana Judy Singer) spiega lo sviluppo neurologico atipico come una variazione naturale del cervello umano e secondo tale principio le persone con autismo rappresentano una normale variazione neurologica al pari di razza, genere o sessualità. Il paradigma della neurodiversità sostiene che la condizione autistica non è una condizione da curare, quanto piuttosto una specificità umana o una differenza nei modi di socializzare, comunicare e percepire, che non sono affatto necessariamente svantaggiosi (Jaarsma e Wellin, 2012). L’autismo è appunto definito una condizione del neurosviluppo. Il sistema nervoso delle persone autistiche è organizzato in modo atipico rispetto alla maggioranza; tale sistema percepirà ed elaborerà il mondo in modo diverso rispetto alla maggioranza e deriveranno quindi comportamenti differenti. 

 

 

Sta a noi liberarci una volta per tutte dalla convinzione che tutto ciò che è diverso debba essere considerato inferiore, sbagliato o difettoso. Dobbiamo essere i primi a cambiare il nostro punto di vista, allargare il nostro orizzonte includendovi soggetti neurodiversi, così da non farli sentire sbagliati perché non soddisfano quei requisiti di normalità che la società in cui viviamo ci impone; dobbiamo valorizzare la loro diversità in quanto unicità. Assegniamo finalmente alla parola diversità un’accezione positiva come meriterebbe. Parlando di autismo, mettiamo in luce la diversità e non la patologia. Dopotutto queste differenze non sono altro che caratteristiche umane e, come tali, cambiano da individuo ad individuo.