Sulla scia dei precedenti articoli e sui temi trattati quali la multiculturalità, il diverso/l’altro, pregiudizi e stereotipi, mi sono interrogata su queste stesse tematiche all’interno di uno specifico ambiente: la scuola.
Sono entrata di recente a lavorare nell’ambito scolastico, precisamente da novembre 2020. Adesso, al termine di questo mio primo anno in cui sono stata strettamente coinvolta nelle dinamiche scolastiche, mi ritrovo a mettere nero su bianco determinati pensieri che mi accompagnano fin da quando ho iniziato questo periodo di affiancamento e supporto ad insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo grado. Queste riflessioni sono sicuramente frutto, in primis, della mia formazione e percorso universitario, incentrato su studi specialistici in ambito di cultura e storia dei Paesi Islamici, ma soprattutto del mio grande interesse e curiosità proprio per tutto ciò che ritengo “diverso” da me.
Nonostante facciamo parte di una società che tende alla globalizzazione e all’intercultura, non mancano fenomeni di discriminazione e di giudizio del diverso, sostanzialmente, di ciò che non è compreso. Anche in un ambiente come la scuola, in cui si sente spesso parlare di integrazione e di abbattimento dei pregiudizi, la strada dell’accettazione della multiculturalità appare ancora lunga. La forte presenza (e in continua crescita) di alunni stranieri spinge il sistema scolastico a dover reagire al momento di mutamento e trasformazione che sta vivendo e rispondere adeguatamente sia in termini organizzativi che educativi e didattici.
Le difficoltà più o meno grandi che si riscontrano, sono proprio quelle nel quotidiano: per esempio, nel caso delle elementari, per la mensa (ci sono determinati bambini esonerati dal pasto a scuola che tornano a casa a mangiare, non essendo presente la mensa halal) o durante il periodo del Ramadan (in cui alcuni bambini sono stati assenti o avevano dei permessi per uscire prima dell’orario di fine lezioni). Spesso ho sentito commenti come “perché non mangiano come tutti gli altri”, “perché se tornano a casa a mangiare non rimangono direttamente lì”… Commenti sì, ma pur sempre manifestanti determinati pensieri all’interno di un ambiente dove si dovrebbe garantire il diritto alla diversità e soprattutto l’inclusione. Certe diversità non si dovrebbero far percepire, soprattutto tra i bambini stessi, che anzi, per fortuna, mostrano quella curiosità tipica dei bambini e sono i primi a chiedere ai compagni il motivo di tali scelte alimentari per esempio, o vestiarie, o semplicemente i motivi e l’origine dei loro nomi (spesso difficilmente pronunciabili).
Un altro problema fin troppo comune sono le etichette: etichettare con superficialità e precocità annulla la persona, se poi viene fatto a scapito di un bambino che è all’inizio del proprio percorso evolutivo, di individuazione e di formazione della propria identità, immaginatevi il danno! È proprio quando si è bambini e poi durante l’adolescenza che avviene un riconoscimento di sé e soprattutto nasce il bisogno di essere riconosciuto dall’altro. Per esempio, se ci si riferisce ad un bambino indicandolo come “quello casinista”, “quello problematico”, “quello ostrogoto” (purtroppo ho sentito davvero questa parola per riferirsi ad un bimbo straniero!) ecc. il bambino sentirà su di sè il peso di questa etichetta, finendo per crederci e continuare poi anche a rivedersi in quella descrizione. Nel caso in cui venga etichettato in base alla propria nazionalità, è molto probabile che il bimbo si chiederà perchè gli altri bimbi non vengono indicati come “quello italiano”? Quando poi il fatto di essere per es. “pigri”o “casinisti” viene associato all’essere di una nazionalità particolare anche qui si inciampa nel pregiudizio, immotivato. Il problema è che spesso queste etichette vengono date con estrema facilità (e comodità), ma anche penso con molta ingenuità, visto che sostanzialmente semplificano la nostra realtà e riducono il carico cognitivo.
Spesso queste dinamiche rischiano di oscurare la potenzialità di un incontro con “l’Altro”, in termini di arricchimento culturale, ma soprattutto umano. La multiculturalità deve essere accettata e accolta come opportunità di riflessione, come ponte tra soggetti culturali diversi, libera da ogni pre-giudizio, in modo che possa porre le basi per un’educazione interculturale.
Voglio concludere con una citazione di Frida Kahlo, in cui ho riconosciuto il messaggio che volevo trasmettere con questo articolo: “Non far caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini”.