Qualche tempo fa mi sono imbattuta in una serie TV che ha catturato la mia attenzione sotto molti punti di vista. L’intrattenimento non è certo uno dei temi cari ad Utensilia, ma è innegabile l’importanza dei media e dei prodotti di consumo sulla nostra vita e sulla nostra percezione.
E’ facile trovare, soprattutto nella serialità televisiva e nei prodotti di largo consumo infatti degli stimoli interessanti e dei raffronti con la realtà di cui vale la pena parlare o prenderne atto. Inoltre c’è anche da dire che i prodotti mediatici e di larghissimo consumo influenzano la realtà (o quantomeno la nostra percezione di questa) e il nostro modo di interpretare il mondo, tanto quanto il mondo e la realtà influenzano i media. Per questo motivo sono comprensibili e soprattutto condivisibili le proteste e le pressioni che vengono fatte, un po’ ovunque, per una rappresentazione più equa e diversificata di alcuni gruppi nei media e soprattutto nei media a larghissimo consumo, come i film e le serie TV.
In questo importantissimo tema della rappresentazione rientra la serie TV: Zero (serie italiana del 2021 prodotta da Fabula Pictures e Red Joint Film per Netflix) che mi ha incuriosito perché per la prima volta propone un cast principale composto da giovani attori italiani neri.
Questa serie TV è assolutamente piacevole da guardare, leggera e senza impegno, è interessante anche da un punto di vista di narrazione diegetica: la storia è scorrevole e non troppo scontata, presenta personaggi curiosi e non banali, anche se ha alcune mancanze dal punto di vista tecnico e a tratti attinge troppo dall’immaginario statunitense (che è sempre il riferimento primario per le produzioni audiovisive di largo consumo) non affine alla realtà italiana. La serie ha però dei limiti evidenti: gli attori sono molto giovani e quasi tutti alle prime armi e il budget è limitato. Eppure Zero è onesta e non pretende di essere niente di più di quello che è: un buon prodotto di intrattenimento leggero e proprio per questa sua semplicità e onestà può solo migliorare. Infatti tantissimi prodotti italiani molto più sponsorizzati, con budget maggiori e con più promozione e anche nomi di rilievo alla regia e in produzione sono state sicuramente di qualità inferiore. La leggerezza del genere e del contenuto però non toglie nulla all’importanza culturale di questa serie, che è decisamente una svolta nel panorama audiovisivo italiano.
Tornando al motivo per cui questa serie merita di essere discussa in un articolo per Utensilia è per la rappresentazione dei personaggi principali. Il tema della rappresentazione dei personaggi nei media è un tema a me molto caro e ne ho già parlato in articoli precedenti. Zero in realtà è in ottima compagnia, perché dall’uscita di Skam Italia (2018 Cross production per Timvision/Netflix) - remake del successo globale Skam (2015-2018 NRK P3) - e Summertime (2019 Cattleya per Netflix) si sta costruendo una nuova e accurata rappresentazione dei giovani italiani.
Da molto tempo e in tante occasioni giovani italiani di origine straniera hanno lamentato la mancanza di figure di spicco a cui rapportarsi, personaggi in vista in cui potessero rivedersi e che in qualche modo li rappresentassero anche nell’aspetto esteriore. Se da un certo punto di vista non vedo nulla di male a cercare i propri miti altrove, dall’altro è innegabile questa percezione di esclusione, di non esserci, in quanto non rappresentati, era un dato evidente inoltre anche il tessuto sociale non aiutava. Fino ad alcuni anni fa effettivamente era davvero difficile trovare film con attori italiani di origine straniera, ma era altrettanto difficile trovare un medico, un impiegato, un infermiere, un maestro di scuola, un professore che non fosse di origine italiana.
Questa situazione in realtà non è tanto un limite culturale italiano o una delle modalità in cui si manifestano il razzismo e la xenofobia in Italia, ma è dovuta ad una semplice questione storica.
Tanti giovani di origine straniera con cui ho parlato negli anni hanno espresso il desiderio di andarsene dall'Italia, preferendo vivere in paesi (Francia, Inghilterra, Germania ecc) in cui si sentono più accettati e più rappresentati e hanno tutte le ragioni per farlo. Semplicemente, in paesi di più antica immigrazione, non solo il tessuto sociale è più diversificato, ma è anche inserito a tutti i livelli sociali e quindi questi giovani si rispecchiano molto di più in tanta parte della popolazione. Perché è vero che in Italia è ancora molto difficile trovare, soprattutto in alcuni tipi di lavori, persone di origine non italiana.
Senza niente togliere ai desideri di questi giovani che hanno tutti i diritti di esprimere le loro opinioni e le loro sensazioni, è anche importante però ricordarsi che l'Italia fino a 30 anni fa, 40 al massimo, non era un paese di immigrazione, di conseguenza non c'erano fisicamente persone che non fossero effettivamente di origine o di discendenza italiana (o comunque se c’erano erano in percentuali bassissime). Attingendo alla mia esperienza personale, ma come credo tantissimi della mia generazione, siamo cresciuti in una società in cui la persona più “straniera” che potevamo incontrare veniva dall'estremo sud o dall'estremo nord dell'Italia.
Questo dato storico, non toglie assolutamente nulla alla questione della rappresentazione di cui si lamentano i giovani italiani, anzi, la supporta, in quanto dato di fatto, ma sicuramente serve anche a per capire perché fino ad una decina di anni fa c'era questo buco rappresentativo di altre culture, etnie ecc. Ad oggi invece assistiamo ad un tessuto sociale ampiamente modificato negli ultimi decenni e largamente multietnico (anche se ancora lontano dalle società a più antica immigrazione) a moltissimi livelli.
In questo contesto, che nonostante venga ancora in qualche modo ripudiato da alcune correnti politiche e da una parte della società civile, c’è una reale necessità di cambiare il modo in cui viene vista l’Italia. E in questo clima si posizionano prodotti televisivi come quelli che ho citato.
E’ importante sottolineare che questo cambiamento arriva in un momento di generale risveglio delle coscienze e di un globale cambiamento e di particolare attenzione alla rappresentazione delle diverse categorie e dei gruppi minoritari (alcuni dei quali sono definiti minoritari per convenzione, ma non lo sono). Zero, come Summertime, sono prodotti che normalizzano qualcosa che già i più giovani conoscono e vivono come assolutamente normale. In particolare voglio parlare di Zero perché è stato davvero bello, e personalmente mi sono divertita tantissimo, a guardare una serie in cui tutti i suoi personaggi non sembrano, all'apparenza, tipicamente italiani. In realtà, proprio come sostenevo nel mio articolo "Cosa vediamo quando vediamo?", non c’è nessuna ragione narrativa/diegetica per cui questi ragazzi debbano essere neri, lo stesso sviluppo si poteva raggiungere comunque, ed è qui che soggiace la vera svolta e la motivazione per cui questa serie è interessante. La ragione principale della scelta del cast è principalmente extradiegetica, ovvero sta nel fatto che la serie è liberamente tratta dal libro di Antonio Dikele Distefano (nato da genitori angolani) e dal fatto che si volesse fare un cast così perché è plausibile. E’ interessante infatti il focus di questo gruppo di ragazzi della periferia milanese che vive le loro avventure in un ambiente assolutamente multietnico, come sono effettivamente la maggioranza delle periferie italiane. Ci sono alcune cose palesemente rubate alla cultura americana che sono poco rappresentative della specificità italiana e sembrano inserite, molto più per ingraziarsi il pubblico italiano e internazionale abituato a certi tipi di stereotipi. Ma possiamo scusare questo particolare nella speranza che non venga ripetuto e che la serie non diventi una versione italiana degli stereotipi americani.
La cosa importante però è che Zero, come Summertime, servivano al nostro panorama seriale per dare alle nuove generazioni una giusta rappresentazione e dei riferimenti. L’Italia si confronta adesso con la sua pluralità etnica e culturale e, aiutata dal momento storico, l’industria mediatica sta rispondendo con tutte le lacune, ritardi e inciampi e critiche che ci sono.
Spero quindi che, grazie a questi prodotti di largo consumo (almeno fra i giovani) e grazie ai giovani, nati, cresciuti e formati in un tessuto sociale altamente plurale e molto più sensibile e consapevole di tante problematiche rispetto alla mia generazione (e quelle precedenti), questa spinta al cambiamento proceda e diventi più diffusa.
Mi auguro che in questo contesto che insieme ad una profonda spinta reazionaria mostra un generalizzato cambiamento, l’uscita di prodotti seriali come Zero e Skam o altri che mostrano al grande pubblico realtà già esistenti, ma talvolta distanti, servano a “normalizzare”.