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L’inclusione passa dal Cinema: l'esempio di CODA

2022-04-13 23:27

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L’inclusione passa dal Cinema: l'esempio di CODA

Il cinema deve tenere conto delle sue necessità economiche, ma anche delle sue potenzialità culturali.

Il 28 marzo 2022 si è tenuta la cerimonia degli Academy Awards, meglio conosciuti come Oscar. Tra le opere premiate durante la serata, il film intitolato I segni del cuore: C.O.D.A. ha attirato l'attenzione di molti, grazie ai temi e ai successi conseguiti.

 

 

Remake del film francese La famiglia Belier del 2014, (diretto da Éric Lartigauil, vincitore di numerosi premi, tra cui il Premio Magritte come miglior film straniero in coproduzione), I segni del cuore: C.O.D.A. guadagna tre premi Oscar come miglior film, per il miglior attore non protagonista e per la migliore sceneggiatura non originale. 

 

 

La scelta di inserire C.O.D.A. nel titolo del film non è casuale, infatti è l’acronimo di Children of deaf adults, cioè “figli di adulti sordi”, ovvero un termine che indica una condizione dove il nucleo familiare è composto da persone non udenti e udenti. In Italia, così come nel resto del mondo esistono diverse associazioni C.O.D.A. che offrono supporto ai giovani e alle loro famiglie che convivono con la necessità di comunicare quotidianamente tramite la lingua dei segni. 

 

 

Il film racconta la storia di una famiglia di pescatori con disabilità uditiva e narra di come i protagonisti cerchino il proprio posto in una società che tende a escluderli per la loro condizione. Diventa dunque fondamentale la presenza di Ruby, la quale è l'unica componente udente della famiglia a mediare tra loro e il mondo in cui vivono. 

 

Ciò che C.O.D.A., così come altri progetti cinematografici, rivela da un punto di vista inclusivo, va ben oltre la sola storia raccontata. Se non ci limitiamo a percepire il cinema come un “narratore di storie”, ci accorgeremo che dietro a ogni opera cinematografica esiste una realtà produttiva che ne evidenzia l’aspetto industriale. Questa realtà è uno dei motivi per cui affermerei che per “il vero” cinema inclusivo, resta ancora tanta strada da fare, ma allo stesso tempo è giusto riconoscere che alcuni elementi hanno conseguito importanti traguardi per l’inclusione. 

 

 

Dagli anni 2000, per esempio, si sono introdotte nuove pratiche di interpretazione e selezione attoriale, come il progressivo abbandono della CripFace[1] in favore del Diversity Casting[2]. Nonostante ciò, in molte produzioni cinematografiche resta ancorata l’idea che sia più apprezzabile per il pubblico,  impiegare attori non disabili per interpretare personaggi con disabilità. Sicuramente se ci soffermiamo a valorizzare l’aspetto della performance artistica, la ricerca, lo studio e la vicinanza alle diverse tipologie di disabilità, può in qualche modo favorire l’inclusione, in quanto si inizia a conoscere e a comunicare con realtà diverse dalla propria.

In pratica, dal punto di vista produttivo[3], l’impiego di attori non disabili e autoctoni è un vantaggio. Il cinema è anche industria, e si sa che le industrie mirano al risparmio e al guadagno. Ora, per chi non è famigliare alle dinamiche della produzione cinematografica, ovvero tutto quell’insieme di pratiche che permettono la realizzazione di un film, bisogna tener conto di tre aspetti: risparmiare dove possibile, rispettare le tempistiche (scadenze) e dare garanzie agli investitori (certezza di rientro economico e guadagno). Per una produzione dunque, vale il pensiero: “Se una cosa funziona, continua a farla così. Non cambiare”. Seguendo questa “filosofia del mestiere” non c’è da stupirsi se in un mercato cinematografico come quello Hollywoodiano, ci sia una lunga storia di stereotipizzazione e barriere d’accesso. Questo lo si vede anche nella scelta degli attori. Se ci facciamo caso, la maggior parte dei produttori Hollywoodiani, si rivolge sempre agli stessi attori perché questi ultimi sono in grado di dare garanzie agli investitori, in quanto hanno già un seguito, e sanno già quali sono le dinamiche produttive delle Aziende.

 

D’altro canto, sempre negli stessi anni, con l’avvento delle nuove tecnologie e l’arrivo di internet, le piccole realtà indipendenti hanno ottenuto una visibilità maggiore agli occhi delle Majors[4] e del pubblico, ma soprattutto hanno raggiunto importanti traguardi per quanto riguarda l’inclusione. Consideriamo nuovamente l’esempio del Casting. Grazie alle nuove realtà distributive (reti web, festival ecc..) si sono introdotti nuovi criteri per la selezione degli attori e nuove opportunità per entrare a contatto con più aspetti della realtà inclusiva. Questi nuovi canali hanno permesso anche di creare nuove opportunità lavorative e di dialogo tra produttori, finanziatori e lavoratori. Esempio concreto di questo progresso è stato dimostrato dalla premiazione dell'attore Troy Kotsur (premiato come miglior attore non protagonista per il film C.O.D.A. - I segni del cuore) che ha guadagnato il primato per essere stato il primo attore maschile con disabilità uditiva a ricevere l'ambita statuetta. Prima di lui un'altra attrice non udente, Marlee Beth Matlin, tra l'altro presente nel cast di C.O.D.A., aveva ottenuto il riconoscimento più prestigioso dell'Academy  come "miglior attrice protagonista" per il film Figli di un Dio Minore del 1986, diretto da Handa Raines.  

 

 

Trovare un equilibrio tra la ragione artistica e industriale, di fatto, non è semplice. Lavorare a stretto contatto con delle realtà differenti, comporta la presenza di esperti che sappiano creare le condizioni necessarie affinché i progetti culturali stessi vadano a buon fine. Tenere conto dei costi legati a queste figure professionali per le produzioni, specialmente in sistemi come quello Statunitense, diventa complesso. Basti pensare alle lingue. Per esempio la presenza di più attori appartenenti a più Nazionalità in un solo film, può rivelarsi problematico se non sono previsti traduttori all’interno della troupe per via dei costi eccessivi di gestione. Questo è uno dei tanti esempi che hanno creato con il tempo, le “famose Barriere d’accesso” e purtroppo questa realtà resta difficile da cambiare. Almeno fino a quando il mercato in cui le grandi Majors operano non cambia. 

 

 

Fortunatamente, il cambiamento è iniziato grazie alle nuove politiche di inclusione e alle nuove sensibilità globali; Come la pratica di accostare a un brand (quindi a un finanziatore privato nel caso del prodotto cinematografico), alla trattazione di determinati temi inclusivi dando così, un immediato ritorno in termini di immagine e prestigio al brand stesso. Basti pensare alla Apple, che,  grazie ai risultati conseguiti dal suo progetto cinematografico C.O.D.A., si è guadagnata la fama di perfetta concorrente nei confronti dei prodotti cinematografici Politically correct di Netflix

Tuttavia questa nuova pratica non è priva di rischi, specialmente se parliamo di stereotipizzazione. Il rischio principale di associare il tema “inclusione” a un brand consiste nella possibilità che tutte le diversità siano trattate con superficialità pur di adattarle alle necessità commerciali. E se ciò accadesse si tornerebbe al punto di partenza, dove stereotipizzazione e barriere d’accesso hanno la meglio sulla diversità e pensiero artistico.

 

 

Per ciò che riguarda l’aspetto culturale del cinema abbiamo, al contrario, un'apertura positiva al tema. Veicolare tramite “la settima arte” le tematiche inclusive è una strategia assai efficace per sensibilizzare sul tema. A riguardo, consideriamo ancora una volta il caso C.O.D.A.  

Primo fra tutti, c’è la messa in chiaro che la disabilità uditiva permette, nonostante le difficoltà, di svolgere una vita normalissima. Non vengono precluse la possibilità di ottenere un lavoro e una famiglia o di intrecciare relazioni sociali. Di contro notiamo invece che, se dal punto di vista sociale le cose siano migliorate, dal punto di vista legislativo e burocratico le cose non sembrano essere così semplici; infatti la protagonista del film è costretta a muoversi tra la costante necessità di scambio comunicativo con la sua famiglia e la sue possibilità future. Altro aspetto messo in luce dal film, anche se non immediatamente intuibile, sta nella realizzazione stessa del prodotto culturale. Se andiamo ad analizzare il cast, noteremo che la maggior parte degli attori ingaggiati non interpreta una disabilità, ma la mostra. Questo è un importante passo dal punto di vista culturale, perché significa che finalmente gli attori con disabilità sono inclusi nella sfera culturale del cinema. Un ulteriore effetto positivo è il punto di incontro che si crea con questa realtà. Come accennato in precedenza, lavorare con realtà differenti, permette di conoscere aspetti magari precedentemente trascurati. Basti pensare banalmente all'avvio delle riprese. Il famoso "Ciak" di inizio sicuramente non può funzionare se si collabora con attori con disabilità uditiva e dunque bisognerà armarsi di nuove strategie più accessibili, come ad esempio l'impiego di lampadine colorate o lampeggianti alla cui accensione corrisponde un determinato inizio delle attività, o la formazione del team tecnico alla comunicazione nella lingua dei segni. 

 

 

La presenza di professionisti del settore in grado di realizzare tutto questo è davvero incoraggiante. D'altro canto è anche molto interessante vedere come gli attori si sono a loro volta relazionati alla nuova esperienza. Interessanti a riguardo sono le interviste rilasciate dall'attore Troy Kotsur, il quale, durante un estratto del film, afferma di aver trovato molto curioso il fatto di essere stato microfonato nonostante fosse sordo, e di aver trovato curiosa che la motivazione risiedesse nella registrazione di rumori diegetici a lui estranei.

 

 

Prima di C.O.D.A. anche altre produzioni cinematografiche avevano elaborato tecniche per facilitare la collaborazione tra attori e troupe, o di interazione con il pubblico. Ad esempio, la serie tv  Switched at birth (realizzata da Freeform, 2011-2017) prevede intere scene realizzate nella lingua dei  segni Americana (ASL) sottotitolate come qualsiasi altra lingua straniera. O ancora, la recente app MovieReading che permette alle persone con alcune disabilità uditive e visive di accedere ad audioguide o sottotitoli per facilitare la fruizione del film in sala.

 

 

Per concludere dunque, i progetti cinematografici come nel caso di C.O.D.A. sembrano essere un buon punto di partenza per poter trovare il giusto equilibrio tra le necessità economiche e culturali che i nuovi scenari sociali e globali richiedono per quanto riguarda le tematiche inclusive. Magari la continua fruizione e interdipendenza delle parti considerate (diversità, cultura e processi produttivi), porterà a “erodere” tutte quelle pareti che le separano, rendendo il tema dell'inclusività assodato. Chi può saperlo? Non ci rimane, allora, che restare ad aspettare e capire dove le strade intraprese da C.O.D.A., Switched at birth e molti altri ci porteranno. 

 

 

 

  1. Cripface: Selezioni di attori che non hanno disabilità, per interpretare personaggi con disabilità all'interno delle narrazioni.
  2. Diversity casting: Insieme di pratiche di selezione attoriali inclusive.
  3. In riferimento al mercato cinematografico statunitense.
  4. Grandi e medie case di produzione del mercato statunitense.

 

 

Articolo a cura di Utensilia APS, con la collaborazzone di Alice Rolando