Come abbiamo affrontato nel primo incontro del nostro ciclo di webinar il passaggio dal lavoro in presenza allo smart working ha i suoi benefici e i suoi rischi. Se tra i benefici si riscontrano un posizionamento del lavoratore al centro del sistema e una maggiore capacità di allineare le proprie priorità e obiettivi al lavoro svolto, tra i rischi sicuramente va annotata la connessione perenne. In questo secondo appuntamento ci siamo concentrati sui rischi, stimolando un dibattito su tecniche motivazionali e agevolando lo scambio di esperienze personali e buone pratiche da adottare per mantenere alta la concentrazione e la produttività, svolgendo le proprie mansioni da remoto.
In questo periodo di emergenza abbiamo notato come spesso l’infodemia, ossia la ricerca convulsiva e/o il “bombardamento” di informazioni e notizie, sia stata una fonte di ansia e stress che in molti casi ha inficiato sulla motivazione e produttività dei molti lavoratori che si sono trovati, per la prima volta, a sperimentare lo smart working. Rimanendo centrali l’informazione e la sua ricerca, è tuttavia necessario ridurre il flusso continuo di notizie e ricavarsi blocchi di tempo per concentrarsi da un punto di vista lavorativo e non influenzare eccessivamente il piano della vita privata. Proprio in questo contesto nasce uno dei diritti fondamentali del lavoratore subordinato che utilizza lo smart working, ossia la “disconnessione” intesa come il diritto a non essere sempre reperibili costantemente. Ove in Francia si è optato per una tutela della disconnessione come un vero e proprio diritto del lavoratore, in Italia il legislatore ha scelto di ricomprenderla all’interno della disciplina della negoziazione tra le parti di cui all’articolo 19 della legge 81/2017. Qui si fa riferimento alle misure tecniche per assicurare la disconnessione rimettendo all’accordo delle parti l’individuazione dei tempi offline. Purtroppo durante l’emergenza COVID-19 questo diritto non è stato tutelato debitamente ed ha così generato in molti casi incertezze e impossibilità di scindere la vita privata da quella lavorativa. In questo contesto il terzo settore, di concerto con sindacati, disability manager e risorse umane interne, possono sviluppare degli schemi di tutela per i lavoratori in modo da agevolare la contrattazione con il datore di lavoro anche in situazioni straordinarie.
Dall’altro lato si riscontra come l’autoconsapevolezza e l’accettazione delle situazioni che creano disagio siano la chiave per la costruzione di una mentalità positiva che possa portare ad una maggiore motivazione, capace di stimolare la produttività lavorativa nonché di incrementare il benessere del lavoratore. Dall’adozione di una mentalità positiva e proattiva deriva anche una migliore capacità di influenzare i cambiamenti e di controllare intenzioni e comportamenti. In questo contesto il terzo settore, con il supporto di esperti in psicologia, può lavorare, insieme alle risorse umane interne alle aziende, per sviluppare percorsi di formazione che includano tecniche di “mental coaching” per aiutare i lavoratori nelle transizioni che spesso sono viste come traumatiche. Tali percorsi aziendali possono essere sviluppati sul modello delle tecniche presentate e discusse nel webinar, quali la definizione dell’io desiderato, la definizione di obiettivi e la consapevolezza degli sforzi per raggiungerli, il self-talk come strumento di rafforzamento, ma anche la costruzione di routine o piccole abitudini capaci di generare efficienza e aumentare la confidenza in se stessi. Detti percorsi formativi possono essere inseriti anche in un più ampio quadro di tutela della salute psichica (art. 22 l. 81/2017) del lavoratore subordinato che utilizza lo smart working riducendo, tra gli altri, il rischio di burn-out.
In parallelo, altri metodi che possono incoraggiare il lavoratore a incrementare la produttività sono la scelta dell’ambiente di lavoro e l’utilizzo di tecniche di concentrazione. Queste ultime fanno riferimento ai modi per assicurare alti livelli di energia durante la giornata lavorativa, si pensi al lavoro in blocchi (es. tecnica Pomodoro, interstitial journaling) o alla definizione di momenti della giornata per la corrispondenza lavorativa (comunicazione asincrona). Dall’altra parte, la scelta della postazione di lavoro deve essere accurata e ben studiata anche alla luce dei principi dell’ergonomia, intesa come scienza che si occupa dell’interazione tra gli elementi di un sistema e il motivo per cui vengono progettati. In questo senso, nella scelta dell’ambiente di lavoro saranno necessari degli accorgimenti sia per quanto riguarda l’arredamento e la gestione dello spazio, ma anche i parametri fisici che caratterizzano il luogo (luminosità, umidità, temperatura). Inoltre, in questo contesto giocano un ruolo fondamentale gli accomodamenti ragionevoli volti a consentire la disponibilità e l’utilizzabilità per i lavoratori con disabilità di strumenti adattabili e di software che garantiscano l’accessibilità predisponendo così una postazione di lavoro congrua alle esigenze del lavoratore. A norma dell’articolo 18 della l.81/2017 spetta al datore di lavoro assicurare la fruibilità e la funzionalità di detti strumenti e qui il disability manager può giocare un ruolo fondamentale nel supportare e coadiuvare il datore di lavoro nel rendere disponibili strumenti adattabili e accessibili anche in sede di smart working e non soltanto all’interno dell’azienda.